La poesia fragile degli oggetti abbandonati
Quando Alessandra mi ha chiesto di presentare il suo mondo artistico, mi sono sentito inadeguato e inadatto al compito, un compito che mi porta fuori dal consueto e dai miei campi di elezione, che sono la letteratura e l'antropologia culturale.
Non sono un critico d'arte, infatti.
Ma dopo aver incontrato Alessandra, aver visto i suoi lavori e, soprattutto, dopo aver parlato con lei circa la sua concezione artistica ho pensato che avrei potuto farla, questa presentazione, ESCLUSIVAMENTE ed UMILMENTE per testimoniare l'impatto emotivo che in me ha suscitato la sua sensibilità, il suo sguardo sulle cose e, più in generale, sul mondo.
Vorrei presentare velocemente Alessandra D'Agnolo, anche se tutti noi la conosciamo. Alessandra è un'artista veneziana specializzata in arti incisorie, in calcografia e litografia, che ha esposto in molte città italiane (Brescia, Milano....tra le altre), europee a Londra, in Svizzera, in Portogallo e ha esposto alla Seconda Biennale d'Arte internazionale di Pechino, negli Stati Uniti e in Giappone.
Quello che Alesssandra D'Agnolo ci propone oggi, infatti, è una serie di lavori, di fotografie rivisitate con tecnica litografica, che presentano oggetti e luoghi, per lo più del territorio veneziano, dimenticati, abbandonati, marginali........ messi a latere.
Che in una città così scoperta, così spogliata, così sensualmente esposta allo sguardo come Venezia, ci siano degli angoli di abbandono, di sospensione, degli infratti, dei luoghi oscuri è già di per sè un motivo interessante. A questo si aggiunge una capacità di osservare il dettaglio che scava dentro chi guarda e restituisce un'eco di un'umanità perduta, smarrita. Sono oggetti, quelli interpretati da Alessandra, che si presentano al nostro sguardo, ma che contengono anche una voce arrochita, della loro storia passata e della storia sbiadita della persone che, con questi luoghi o oggetti sono venute a contatto.
Alessandra è attratta dall'isolamento, da ciò che sembra aver smarrito il proprio senso, da ciò che par espulso dalla memoria e dalla coscienza. I suoi oggetti "arrugginiti", ammaccati, rotti, o semplicemente accantonati ottengono, grazie alla sua sensibilità l'occasione di un ultimo sussulto di poesia, di un tardivo rigurgito di vita, quasi un supplemento d'anima. Tornano a respirare qui, per noi . Aleggiano tra di noi : questo oggetti, in particolare, ma anche le migliaia di oggetti dimenticati che interpellano le coscienze di ciascuno di noi.
E' come quando ritroviamo, in un cassetto, in un baule in soffitta, qualcosa che apparteneva al nostro passato o al passato di una persona che, per tante, tristi e ovvie ragioni, non è più parte della nostra vita. Con quell'oggetto, per un breve lasso di tempo, tutto si ricrea vivo nella nostra coscienza, come un'intermittenza del cuore di proustiana memoria.
Ciò che più colpisce dell'immaginario artistico di Alessandra D'agnolo è la propensione a fissare prima il suo SGUARDO e poi il suo PENSIERO su ciò che è apparentemente dimenticato.
Lei guarda dentro il CANCELLATO dal nostro mondo, s'immerge nel REITTO. CATTURA, ciò che è altrimenti sarebbe destinato a scomparire nel vuoto della dimenticanza. In un mondo catturato dalla frenesia della corsa, per dirla con Bauman o Morin, in un mondo in cui siamo frastornati dalla velocità e costretti continuamente a correre verso qualcosa, come il Bianconiglio di Alice di L. Carroll, il suo sguardo è capace di tirare il fremo, di produrre un BRUSCO ARRESTO.
Le immagini di Alessandra cattura attraverso la fotografia, tuttavia, non sono presentate in modo realistico, ma vengono rielaborate da un FILTRO DI COLORE. Sono foto che catturano un riflesso del mondo, su cui s'innesta un ulteriore riflesso su cui s'incista una RIFLESSIONE data proprio dal colore, impresso con tecnica litografica sull'immagine fotografica. Questo COLORE GRAFFIA L'OGGETTO, lo schiaccia e, in qualche strano e straordinario modo, se ne appropria. Ciò che vediamo, così, porta impresso anche ciò che è stato filtrato dalla sensibilità dell'artista, dal suo colore.
Queste straordinarie e potentissime immagini ci regalano emozioni che ci squassano, se permettiamo loro di interpellarci, se consentiamo loro di scorticarci l'anima. Sono riflessi di passato, del passato di non si sa chi. Raccontano schegge di vita, saltate via da non si sa quale superficie esistenziale; rappresentano oggetti marginali, raccolti in luoghi marginali, alcuni involontariamente carichi di tragedia, come l'isola di San Clemente, Sacca Sessola, Le Grazie..... ma anche in mille altri luoghi in cui lei stessa ha smarrito la corretta ubicazione sia SPAZIALE che TEMPORALE.
Dove ? Quando ? Non sono domande importanti. Ciò che Alessandra sembra domandarsi, attraverso queste immagini pensate e riflesse, è soprattutto COME , PERCHE' tante storie, tanti volti, tante persone di cui gli oggetti non sono che una traccia visibile della loro passata esistenza, siano stati DIMENTICATI.
POI, c'è un'occasione poetica che ha fatto scaturire tutto questo percorso di ricerca. Alessandra è stata turbata e ispirata dalla vicenda di una lontanissima parente, internata e morta nell'Ospedale psichiatrico di San Clemente, prima della II guerra mondiale. Si tratta, anche questa, di una storia quasi dimenticata, persa tra le pieghe del tempo che scorre, riemersa attraverso un carteggio ritrovato e altri frammenti di testimonianze che Alessandra ha rinvenuto e che hanno messo in moto il desiderio dell'artista di ridare vita a ciò che apparentemente sembrava averla persa per sempre.
Dunque questi oggetti e questi luoghi, un tempo PALPITANTI DI VITA, sono testimonianza di un passato in cui sono rimasti incagliate le storie e le sofferenze di persone. Sono immagini che ci permettono di domandarci, con Leopardi : cosa rimane del nostro sentirci indispensabili al mondo ? Di quell'illusione di essere così rilevanti, mentre non siamo che un battito di ciglia:
Questo è quel mondo ? Questi
i diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti ?
Grazie Alessandra, perchè il tuo racconto artistico ci consente di comprendere che, in realtà, tutti noi siamo ombre, fantasmi, opalescenze, immagini sfocate, come sosteneva Gunther Anders con suo pensiero sulla DISCREPANZA tra possibile e immaginabile.
Ci permettono di avvertire, bruciante, l'insignificanza delle parole, quelle che fino a non troppo tempo fa ci aiutavano a definirci, dandoci l'idea della sicurezza : le visioni del mondo, le ideologie, le religioni, le tradizioni.
Oggi, questi tuoi oggetti dimenticati e riproposti alla nostra attenzione, Alessandra, ci aiutano a capire che un certo incanto poetico si è spezzato. E con Montale, ci permettono di trovare un nuovo afflato poetico, che preferisce affermare ciò che non siamo e non vogliamo, rispetto a ciò che siamo e vogliamo.
Ma in questo sta una grande speranza. Una grande speranza, dal mio punto di vista, emerge da questa immagini, da questi scorci di abbandono :
1 Sono un invito, indiretto e insieme fortissimo, a rallentare, perchè siamo solo il tempo della nostra vita e null'altro.
2 Sono un invito considerare che, in qualche misura, la vita è sempre sprecata, in termini puramente concreti, e dunque occorre riconciliarsi con questa follia che è l'esistere ed apprendere ad essere leggeri, come farfalle di Camillo Sbarbaro, che sanno volare lungo l'orlo di un precipizio
3 Sono un invito a tra-guardare il conformato, l'abituale, l'addomesticato; un invito ad andare oltre, ad attraversare, ad interrogarci, perchè l'arte del porsi interrogativi è più fondamentale dell'ostinazione a trovare risposte. Le domande che i tuoi racconti artistici ci aprono sono un grande dono, perchè ci restituiscono un soffio d'umanità.
Marco Gallizioli
in occasione dell’esposizione presso il Londra Palace
Venezia e la laguna: beni comuni! Villa Hériot 5Ottobre-5 Novembre 2019, Venezia
Il progetto-manifestazione “Venezia e la laguna” nasce nella primavera del 2019 durante una serie di riunioni e incontri tra un gruppo di artisti, alcuni poeti e scrittori legati per motivi diversi a Venezia, che hanno a cuore la salvaguardia di un ecosistema unico al mondo e il destino della città come quello della città lagunare. Questo progetto è solo all’inizio, poiché l’obiettivo è quello di unire altre forze nel campo dell’arte e nella società civile per continuare a dare voce alla situazione di allarmante pericolo e degrado in cui versano la città di Venezia e il territorio lagunare, con particolare attenzione al concetto più generale di sacralità del paesaggio.
La battaglia culturale e sociale per la salvaguardia del bene-paesaggio ha avuto nel corso degli ultimi trent’anni numerose prese di posizione in tal senso da parte di molti intellettuali Settis, Zanzotto, Salzano, per citarne alcuni, come cittadini e abitanti del mondo dovremmo avere il compito di raccogliere il testimone e trasmetterlo alle generazioni future. Il paesaggio è un bene culturale, Art.9 della nostra Costituzione, anche a ragione di ciò la città di Venezia e la laguna devono considerarsi beni comuni.
La manifestazione che si svolgerà a Villa Hériot bene comune , casa della memoria e della storia è un luogo simbolico ed è per questo che l’Iveser, l’associazione R.esistenze e la Fondazione Martin Egge Onlus di Venezia hanno voluto aderire all’iniziativa.
Il 5 ottobre alle ore 1630 verrà inaugurato il progetto con la presentazione di Dino Azzalin poeta e editore del libro di poesie di Alessandra Pellizzari “Nodi parlati” Nem 2019 tradotto in inglese da Patrick Williamson.
Alle ore 1730 inaugurazione della mostra
Didascalia foto: da sinistra Chiara Mangiarotti, Luana Segato Luse, Serena Nono, Nicola Golea, Carlo Battain, Maria Teresa Sega, Alessandra D’Agnolo, Graziella Da Gioz e Alessandra Pellizzari
comunicato stampa
No mundo imaginário que a obra de Alessandra D' Agnolo nos apresenta, somos confrontados com a realidade que aparentemente negligenciamos de abandono ou de passagem fugaz e ludibriante nitidez, que de tão nítida nos ofusca, numa penumbra que ela nos faz tocar. É. nesse material frio da placa de lito que tempera existências perenes de objectos e de paisagens sem aparente importância no quotidiano e que, não a deixando indiferente, nos remetem para uma contemplação entre a nostalgia de um tempo passado, como de uma elegia a um tempo futuro.
Não são imagens banais as que as suas composições nos apresentam, apesar de os assuntos nos aparecerem vistos noutros contextos e noutras situações que a história da arte nos foi ensinando através de exemplos que a artista tão bem conhece e com quem tão bem convive, entre espaços geográficos e culturais tão sólidos como os canais que comportam as aguas de Veneto ou as margens de um rio dourado, como também, de quantos mares que aproximam os homens e lhes mobilizam a alma.
Todo o percurso, aparente estático das imagens na superfície, são viagens do olhar em torno de um sentido que nos faça entender o mundo que atravessamos transitoriamente, como encantatóriamente. São viagens que os seus olhos olharam e que generosamente partilham connosco.
Não são desenhos nem pinturas para distrair a atenção do que de essencial faz sentido. Sem artifícios, a artista constrói uma densidade que, por vezes dramática,
por vezes lírica, faz fluir a escrita entre detalhes de números, de folhas, de objectos de história dos costumes e da arquitectura, consoante o interesse da encenação e da vocação do seu discurso em enunciado. Consoante se tratem naturezas mortas que afinal, são todas as nossas representações.
Gravadora de formação e com um entusiasmo contagiante no que ao trabalho criador diz respeito, Alessandra D'Agnolo, dá-nos a oportunidade de ver como se viaja entre o Porto e Veneza, numa simplicidade tão afectuosa de calor quanto, por ironia de temperatura oposta, é o suporte das imagens que nos dão a ver um mundo infindável de motivos que, querendo ver se nos escapam, mas que ela nos restitui por inteiros ao mundo real que é sempre o da nossa capacidade de ser inteligente.
Vemos o que queremos ver, quanto aceitamos o que queremos aceitar. Mas, aqui, não temos espaço para duvidar do profundo labor e conhecimento que a artista transporta para estas fortes imagens de sombra e de penumbra. de contra-luz, quanto de diáfana planura lumínica de tão encandeados estamos de luz espectacular e ruidosa da turbulência do mundo que ela nos mostra, no silencio do seu sentimento e do seu testemunho singular quanto de rara de aparição.
Francisco Laranjo
Artista e diretor da Escola de Belas Artes do Porto
presentazione della mostra OBLIO
Bartolomeu Cid dos Santos
Incontrai Alessandra D’Agnolo per la prima volta quando venne da me a Londra con alcune stampe con l’intento di fare domanda per essere ammessa alla Slade School. Mi mostrò alcune piccole incisioni di paesaggi di natura classica -e per classica intendo mediterranea- completamente differenti dai lavori che ero abituato a vedere alla Slade. Piccoli di misura, essi suggerivano comunque l’incursione in territori sconosciuti. Ricordo uno dei suoi grandi dipinti, tanto scuro quanto le sue stampe, dove penso avesse mischiato della cera con la pittura. Un dipinto che al momento mi lasciò critico, ma che per qualche ragione continuo a tenere a mente, e non c’è nessun segno migliore circa la qualità di un lavoro rispetto al fatto che non si riesca a dimenticarsene...
Lettera di raccomandazione scritta nel 2007 da Bartolomeu Cid dos Santos, capo del dipartimento di tecniche incisorie della Slade School di Londra
Il processo fotografico è per Alessandra D’Agnolo strumento principale di ricerca, sebbene il suo interesse si muova al di là delle opportunità offerte dal mezzo tecnico.
Il momento originario del suo lavoro rimane la scelta del soggetto reale ma da questo l’autrice trascende per giungere ad ulteriori mete. E ciò diventa possibile grazie al lavoro di riporto su acciaio, metallo o carta di vario genere sul quale l’artista intervenire in un momento successivo; è attraverso questa pratica che la D’Agnolo perviene ad una interrotta ridefinizione dell’immagine. Il punto d’arrivo della sua opera infatti non è esattamente ciò che è fermato dallo scatto, ma la possibilità di mostrare la condizione tangibile e psicologica, della dimenticanza e dell’abbandono degli ambienti, dei luoghi, dei personaggi ritratti.
Da questa complessa trama di presenze e di paesaggi la D’Agnolo vuol far emergere atmosfera ed emozioni.
Ecco quindi che l’autrice si muove entro terreni lontani dalla civiltà e dal brusio degli uomini, per incamminarsi verso l’analisi di voci e di presenze passate che hanno lasciato tracce del loro vivere.
Sono scie impercettibili, che si possono solo respirare e che per questo potrebbero non essere consegnate attraverso l’immagine; si tratta in alcuni casi di qualcosa di molto simile dell’odore acre e persistente della fuliggine che, con uno spostamento di sensi, l’autrice riesce a tradurre visivamente.
Significativi in tal senso sono i lavori riguardanti l’antico sanatorio Sacca Sessola e l’ex ospedale psichiatrico San Clemente.
In stanze deserte, distrutte e fatiscenti, trovano collocazione sedie accatastate, materassi ammuffiti, tavoli; tutto ci riconduce a suoni dolenti, figure erranti, a personaggi afflitti.
Sembrano comparire fantasmi del passato che si concretizzano sotto i nostri sguardi.
Questa atmosfera non potrebbe essere così intensa senza quella gamma di possibilità del fare artistico che sono messe in campo nel momento successivo allo scatto, nel momento cioè della partecipazione attiva dell’autrice.
E’ questa l’ingerenza grazie alla quale ci si trova avvolti in una atmosfera in cui riecheggiano voci e si concretano movimenti. Il silenzio davanti all’immagine è davvero la condizione necessaria per un muto colloquio con la concretezza dell’opera.
Si tratta in definitiva di frammenti di spazio colmo di un proprio valore, sebbene vuoto e dimenticato. Anzi, essendo privo di elementi inopportuni, quali l’estranea presenza umana morbosamente curiosa, quel luogo rivive della propria vita.
L’opera della D’Agnolo procede per cicli in cui, di volta in volta, si focalizzano alcuni aspetti del percorso sul quale l’autrice sta transitando.
Efficace è quello in cui l’artista si fotografa rinchiusa in un sacco di plastica.
La figura umana è ribadita ancora una volta all’insegna dell’ambiguità, della presenza negata; nulla infatti è più lontano da una umanità palpitante che un corpo soffocato in un anonimo e freddo contenitore di poliuretano.
La struttura corporea si intuisce, i volumi emergono, ma il sacco, che generalmente è deputato a contenere i prodotti di scarto dell’uomo, ora invece accoglie un individuo, anch’esso abbandonato, dimenticato, messo da parte. Anch’esso ora è delocalizzato in un non-luogo ove è raggelato ogni rimando temporale.
Ed alla immobilizzazione dei riferimenti spazio-temporali rimanda il ciclo Pompei.
Si tratta in questo caso di alcune fotografie scattate a calchi di uomini scomparsi durante l’eruzione.
Bloccate, fermate, presenti e contemporaneamente assenti per sempre, le figure di questa serie sembrano nascere dallo sfondo che le circonda, come se emergessero dal campo cromatico circostante; ma questo breve istante non suggerisce vitalità; piuttosto è riconferma del vuoto al quale appartengono e al quale rimangono vincolate.
La percezione dell’assenza e dell’abbandono informa dunque di sé l’opera della D’Agnolo; percezione di una mancanza che è già delineata o che è prossima a venire.
CHIARA GATTAMELATA
In occasione della mostra presso la galleria “Associazione culturale area” “CIDACARTE – Arte Contemporanea” Fuliggine, Brescia
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